15 novembre
2014
FUORI O
DENTRO AL CORO?
Considerazioni personali per una
possibile “Scuola Buona” molto diversa
da quella ipotizzata dal Presidente del
Consiglio M. Renzi e dal Ministro dell'Istruzione on. S.
Giannini
Stimolata dalla attenta
lettura della proposta di riforma dell'istruzione denominata “La buona scuola”,
ho deciso di partecipare attivamente alla consultazione on line, indetta dal
Miur.
Non ritenendo
appropriato ed esaustivo rispondere al questionario predisposto allo scopo, ho
pensato di scrivere e inviare il mio modesto contributo, frutto della mia,
ultratrentennale, esperienza lavorativa maturata nella scuola
italiana.
Sul testo ministeriale
non voglio soffermarmi più di tanto perché, ad una lettura più attenta, il Piano
si commenta da solo con le sue tante incoerenze, contraddizioni, paradossi,
omissioni e mistificazioni. Di certo è il peggiore documento che io abbia letto
nel lungo corso della mia esperienza di docente. Trattasi, in realtà non già di
una vera proposta di riforma ma, piuttosto, di una forma subdola di ricatto, di
false promesse, di inganni palesi o velati, di furberie e anche di cattiveria
che evidenziano da una parte la poca conoscenza del sistema scolastico e
dall’altra la sola volontà di effettuare tagli e di offendere una classe di
lavoratori, già tanto bistrattata dalle politiche scolastiche degli ultimi venti
anni, che con continue pseudo-riforme (da dimenticare) hanno sfibrato, logorato
e ingessato la scuola italiana, fino a renderla inerme e costretta nel letto
cartaceo delle inutili chiacchiere (mega-programmazioni) e delle false
innovazioni, sotto le pesanti coperte di un “progettificio” senza
senso.
Tanto premesso, credo
sia più opportuno suggerire altre vie a questi nostri politici che, per questo
Piano, chiedono, in contrasto con la linea governativa intrapresa, la consulenza
della base non già, a mio parere, per confrontarsi democraticamente con il
popolo della scuola ma solo per un comodo tornaconto valido a giustificare
apparentemente il loro “malfatto” con falsi dati di supporto che attesteranno di
sicuro una forte partecipazione della base a sostegno di queste loro idee, cosa
che mai in realtà potrebbe accadere, a ragion di logica.
Pur consapevole di
questa mia spiacevole percezione, voglio comunque esprimere le mie personali
considerazioni, sperando che possano servire a ridare energia nuova alla scuola
spingendola finalmente a rialzarsi dal letto in cui giace, da troppi anni
oramai.
L’attenzione in primis
va si rivolta ai docenti ma non nei termini ipotizzati nel fantomatico Piano
della Buona Scuola.
Bisogna
innanzitutto:
-Restituire alla
categoria la dignità scippata loro in questo ultimo ventennio con retribuzioni
economiche adeguate e/o almeno pari a quelle dei politici italiani.
-Rendere obbligatorio
l’aggiornamento, ma renderlo anche gratuito e affidarlo ad Enti di formazione,
qualificati più che accreditati, in modo da evitare lo schifo degli abusi e dei
soprusi, che nel passato, hanno costretto i docenti ad assorbirsi lezioni
soporifere che li rendevano, all’uscita dai Corsi, più confusi di prima. Per lo più, questi Corsi
erano affidati agli amici e agli amici degli amici, persone impreparate, boriose
e/o presuntuose, che, non avendo niente
altro da fare, si buttavano a capofitto nell’occasione procurata loro, chissà a
quale prezzo, ripetendo le stesse litanie, anno dopo anno, fin quando agli
sfortunati destinatari spuntava la barba
e usciva la bava.
L’aggiornamento invece
va curato, preparato e incentivato!
E male non sarebbe se
si incoraggiassero di più anche i momenti di auto-aggiornamento regalando ai
docenti libri o abbonamenti a riviste di ricerca socio-psico-pedagogica o anche
corsi gratuiti presso le Università, ecc., ma è chiaro che per questo occorrono
investimenti nell’istruzione e non tagli continui alla scuola e agli stipendi.
Né si può ancora pretendere che il docente scardini ulteriormente dal suo magro
guadagno anche le spese per il proprio aggiornamento come si è preteso finora e
neanche basta donargli, come ciliegina sulla torta, il libero ingresso nei musei
per renderlo “persona di cultura”.
Altro punto da
considerare è la valutazione dei docenti e della scuola, argomento scottante e
complesso, mal affrontato nel Piano in discussione.
Data per scontato,
l’abolizione dell’Invalsi che rappresenta il peggiore e il più costoso sistema
di valutazione della scuola, frutto di
una mentalità distorta, di matrice più politica ed economica che
socio-pedagogica, occorre:
-Attivare un nuovo
ordine di “Ispettori” formati e specializzati nel settore che valutino il valore
della didattica e la capacità della scuola di promuovere formazione, e non
altro, liberandola da ogni forma di auto-referenzialità, troppo spesso anche
pubblicizzate impropriamente su giornali e sui siti, a mo’ di spot, proprio come
si sta facendo con questo Piano della “Buona Scuola” per scoprire poi che “sotto
al vestito non c’è niente”, trullallero, trullallà.
A questo proposito, ben
vengano gli standard di qualità di riferimento per i sistemi scolastici, ma come
pensare di uniformare la valutazione degli studenti su dati oggettivi così
malamente rilevati sul territorio e che dicono così poco di loro in quanto
soggetti in crescita, con le loro specifiche peculiarità?
-Attribuire ai presidi
e ai docenti funzioni di valutazione reciproca in modo da evitare ciò che è
ipotizzato nel Piano, ovvero più potere decisionale ai dirigenti che, dall’alto
della loro supponenza, rischierebbero ancor di più di ripetere gli sbagli del
passato allorquando, esentati da ogni forma di controllo, molti di loro hanno
prevaricato sui docenti, invadendo e violando l’autonomia didattica: hanno
mancato di rispetto agli operatori della scuola, offendendo la loro dignità,
umana e professionale; hanno mortificato e/o disprezzato iniziative di buona
didattica o proposte innovative, maltrattando gli autori invisi e non condivisi,
con forme, sottili e neppure troppo, di mobbing, e in particolare, hanno reso la
vita difficile ai docenti meno condiscendenti e più reticenti al loro indirizzo
di lavoro, spesso basato su un uso improprio delle risorse della scuola, sia
quelle umane sia quelle materiali.
E chissà se non sarebbe
il caso di affrontare una volta per tutte il problema a monte, ovvero
all’atto dell’ assunzione del personale
della scuola, a partire dai collaboratori scolastici e dai docenti per arrivare
ai presidi! Una buona scuola non potrà essere retta da un cattivo dirigente. Al
contrario una cattiva scuola può anche avere ottimi docenti. Queste riflessioni
rimandano alla professionalità degli operatori della scuola che, come il noto
“limoncè”, se c’è, c’è e se non c’è, non c’è: non la si può inventare la
profes-sionalità!
E di certo non basta
aver superato un concorso per entrare in ruolo (senza considerare le modalità
con cui si stanno svolgendo i corsi e i
concorsi per la scuola in questi ultimi periodi). E allora ben vengano i
tirocini formativi, presso le future istituzioni pubbliche in cui si intende
lavorare per potenziare, con pratica diretta, le competenze
professionali.
A questo proposito non
è male ricordare che come non esistono buone riforme a costo zero neppure
possono funzionare semplici espedienti di magico effetto per cui, in nome di una
discutibile logica manageriale, tratto il docente di turno come voglio, a mo’
d’oggetto a mia disposizione per cui: “lo prendo di qua e lo sposto di là” e
così facendo lo metto dove voglio: mi servo della sua professionalità anzi, come
è di moda oggi, delle sue competenze per cambiare l’esistente, come è stato
ipotizzato per l’Organico funzionale, a dispetto della stessa continuità
didattica.
E’ inutile raggirare il
problema: i precari vanno rispettati, inseriti con dignità, ben trattati e ben
pagati, se si vuole esigere dalla scuola qualità e crescita culturale e poi
l’aggiornamento mirato e la formazione in servizio faranno il
resto.
-Abolire i voti e/o i
giudizi, in pagella a favore dei livelli di competenze e, nel contempo,
promuovere, accanto al tradizionale percorso didattico in aula, situazioni di
insegnamento/apprendimento in classi/laboratori aperti, di interesse e di
vedute, ben strutturate (e qui casca ancora l’asino) e rese funzionali dalle
giuste attrezzature per la pratica del saper fare, più rispondente ai bisogni
formativi degli studenti in modo che ognuno possa compiere, accanto al percorso
obbligatorio, più strumentale e teorico, un corso più flessibile e creativo di apprendimento
nel rispetto dei propri interessi, dei propri tempi e dei propri stili cognitivi, in ottemperanza
alle stesse istanze di recupero e di eccellenza, senza più il ricorso ai
ridicoli corsi di recupero e di rinforzo, di potenziamento o peggio di
ampliamento dell’offerta formativa che spesso ridicolizzano l’azione stessa
della scuola soprattutto allorquando si fa ricorso all’intervento di operatori
esterni, finanche laureati, non privi di fantasia ma a corto di preparazione
socio-psico-pedagogica, che tutto fanno tranne che promuovere vera
formazione.
Altro che risorse
private!!!!
La scuola va fatta solo
da chi la sa fare veramente.
E così dovrebbe essere
anche per la politica.
Non meno importante è
il discorso dell’offerta formativa che va, a mio parere, necessariamente ridotta all’essenzialità di una preparazione
prettamente didattica, indirizzata verso “un nuovo umanesimo”.
Rivedere i curricoli ed
essenzializzarli significa anche
liberare la scuola dal falso mito della
panacea che la vorrebbe capace di contenere tutti i mali della società
odierna nonché in grado di fronteggiare tutte le problematiche esistenti e di
rispondere a tutti i bisogni formativi che emergono. Come può pensare un Miur
che, mandando nelle scuole di ogni ordine e grado circolari a migliaia dove si
invita a sensibilizzare gli studenti sulle migliaia di problematiche tirate in
ballo, in occasione dei mesti “giorni
della memoria o della ricorrenza, si possa davvero fare ciò che continuamente è
richiesto? E’ impossibile, anche perché oramai non c’è più un giorno in cui non
ci sia un qualcosa da ricordare o da commemorare.
E’ forse pensabile che,
a colpi di circolare e di sensibilizzazioni promosse in brevi momenti di
raccoglimento o di approfondimento, si
possano risolvere i fenomeni della delinquenza e della criminalità, del bullismo
e del disagio sociale, della dispersione
e dell’abbandono scolastico, dell’inquinamento e dei maltrattamenti, della
violenza e degli abusi sessuali, ecc.? O forse queste “missive” servono a compensare omissioni di interventi d’altro
tipo che non possono certamente essere colmate a mezzo di concorsi a premi, di
minuti di silenzio e di giornate del ricordo, sempre promossi dalla
scuola?
Pur considerando la
crisi socio-economica e culturale, imperante
e non negando le difficoltà delle altre istituzioni pubbliche e sociali,
come i Comuni, le famiglia, le chiese,
ecc, occorre:
-Creare sul territori
una catena sinergica tra gli Enti esistenti per restituire ad ognuno un ruolo
ben definito, ben marcato e non invasivo e ridondante che si traduce infine in
inutili cloni degli stessi Enti che
promuovono gli stessi interventi che, a lungo termine, risultano noiosi e
dispersivi nonché costosi, correggendo ovviamente le distorsioni delle reti associate delle scuole, spesso
associate sole per “ricevere” con più probabilità denaro pubblico ricorrendo
alle fantasiose motivazioni di accattivanti, ma ingannevoli, Progetti, favoriti
dalla politica Europea che con la sua logica di smistamento delle risorse
economiche sta condizionando. o meglio asservendo. questi stessi sistemi
scolastici alle logiche dei lobbisti delle multinazionali dominanti, come ben si
evince dall’espansione/invasione della tecnologia multimediali e digitale che di certo non basta a risolvere
tutti i problemi della scuola italiana.
Magari bastassero solo
le LIM!
Meglio sarebbe rivedere
il sistema europeo di finanziamento delle scuole e anziché pensare di
prosciugare i fondi di Istituto, bisognerebbe incrementarli per permettere alle
scuole di fronteggiare esigenze locali e bisogni formativi, veri e non
fittizi.
-Abolire l’attività
progettuale della scuola che impegna malamente il tempo dei docenti trasformati
impropriamente in “esperti di ingegneria della Pedagogia” e ultimamente anche di
sociometria e di monitoraggi, a favore di semplici programmazioni, aperte e
flessibili, anche se pur sempre rispondenti alle richieste di un ben delineato
curricolo nazionale, che permettano al docente di qualificarsi sempre più solo
come vero insegnante, esperto di didattica e di formazione.
E se occorrono altre
figure specializzate nella scuola, si provveda pure ad inserirle e ad
integrarle, ma solo come “nuove forze di sistema”.
Costerà di più, ma chi
ha mai avuto un prodotto migliore pagandolo di meno?
-Ridurre notevolmente
il tempo previsto per gli incontri collegiali a favore dell’organizzazione
pratica di valide situazioni di insegnamento/apprendimento a carattere
ipertestuale, aperte alla flessibilità, all’ampliamento e capaci di
trasferibilità per un confronto
costruttivo tra docenti della stessa scuola o tra docenti di scuole diverse ma
dello stesso ordine. In sintesi, sarebbe come dire: meno chiacchiere ma più
operatività, con e per gli alunni, senza dimenticare l’onere delle correzioni
dei compiti, che rimane un’arte imprescindibile del buon maestro. E poi si che
andrebbero conteggiate le ore in eccesso! Sicuramente andrebbero oltre le 36 ore
ipotizzate, sarcasticamente dal solito politico incompetente e fuori dal campo
scuola. Provasse almeno lui a digitare, su supporti multimediali, una buona
lezione ipertestuale ad alta interattività, con verifiche incluse, per misurare
il tempo impiegato!
In una scuola di
qualità così impostata e con professionalità riconosciute, anche sul piano
economico, non avrebbe neppure senso parlare di inclusione, cavallo di battaglia, negli ultimi anni, della campagna
politica del governo. In una buona scuola pubblica l’insegnamento è diretto a
tutti ed è per tutti e il bravo docente è attento ai bisogni formativi di
tutti,BES, DSA, disabili compresi. Questo principio è incontrovertibile, ma può
un solo docente operare così attentamente nelle classi-pollaio in cui si trova
ad operare nella odierna scuola?
E’ qui c’è anche da
chiedersi perché, a fronte di tanta attenzione per i soggetti disturbati
nell’apprendimento, non si registra una adeguata risposta ministeriale per quelli diversamente abili? Nel Piano
difatti si accenna alla riduzione del sostegno e, addirittura, sembra che si
voglia abolire. Si intende forse risolvere il problema dei disabili inserendoli
serenamente nelle classi-pollai dove per l’affollamento nessuno si accorgerebbe
di loro e del loro stato e per questo essi, confusi tra altri disagiati,
dimenticherebbero di essere essi stessi diversamente abili?
Fiumi di parole, si
cantava un tempo, ma i fiumi che escono da questo Piano ministeriale sono più
simili a torrenti di fango destinati a riversarsi presto nel mare
dell’insuccesso.
Urge, ora più che mai,
un nuovo umanesimo che rimetta al centro della scuola lo studente e non la
politica economica.
Dunque, in sintesi, a
mio parere, la buona scuola è solo quella che, lontana dall’ottica aziendale,
tanta amata da questi ultimi governi, punta alla promozione dello studente
considerato non già un prodotto da foggiare, ma una persona da
formare.
Pertanto, l’invito è
che la scuola torni al più presto al suo vero ruolo ossia a quello di promuovere
la formazione integrale del cittadino, meglio italiano convinto che europeo
indotto.
Se così fosse già
stato, ora non avremmo avuto questo piano della “Buona Scuola” ma avremmo già
avuto una “Scuola buona”.
Pericle diceva- “Il
segreto della felicità è la libertà. Il segreto della libertà è il
coraggio.
Ed è quello che adesso
occorre in Italia: il coraggio di proseguire in contro tendenza, controcorrente,
contro senso, staccandosi dalle “politiche di asservimento” per riprendersi la
libertà di essere felice.
Solo questo coraggio
caratterizzerà il politico riformatore e il docente
innovatore.
Anna Guarracino
Nessun commento:
Posta un commento