E’ un giorno come un altro, entro in classe e mi siedo.
Guardo i miei alunni, tutti attenti e motivati, e, contenta, mi appresto a far
lezione.
Ho da poco iniziato a introdurre l’argomento e subito nasce
il dibattito: discutiamo e a domanda rispondo, non disdegnando approfondimenti e
agganci a discorsi già fatti.
All’improvviso, sentiamo un lieve tocco alla porta: sebbene
sia solo socchiusa e si potrebbe entrare tranquillamente, senza bussare, capiamo
che qualcuno chiede di entrare; intravediamo un abito lungo e bianco. Concesso
il permesso, Lui entra in punta dei piedi e, sorridendo, ci saluta, lasciandoci
tutti a bocca aperta per la sorpresa.
Si dirige verso di me che, seduta in cattedra, armeggio con
il computer per mostrare alla lim delle immagini alla scolaresca. Non ho il
tempo di alzarmi: rimango seduta per lo stupore, mentre Lui, con disinvoltura e
autorevolezza, si accomoda accanto a me, sulla sedia della mia collega di
sostegno.
Mi chiede di trascrivere in sintesi i contenuti della
conversazione che intende fare con gli studenti. Poi si alza e, lasciandomi
stranita in cattedra, va a sedersi in mezzo ai ragazzini.
Invito gli alunni a collaborare ed emozionata al massimo, li
invito a non perdere un secondo di quest’esperienza così inattesa, sopraggiunta
all’improvviso.
Ma Lui, guardandomi con affetto, mi invita a non essere
precipitosa: il compito che mi ha dato non deve essere consegnato nell’immediato.
Mi dice di prendere solamente degli appunti per poi rielaborarli con calma successivamente
in modo da poter registrare anche i contributi della riflessione successiva, a
questa sua “lezione” in classe. Mi fa capire che vuole un documento sintetico
che riporti le osservazioni e i commenti degli alunni e non una semplice
verbalizzazione dell’incontro.
Non sto in ansia per questa sua richiesta: mi piace farlo.
Ma la mia agitazione è tutta dovuta alla sua presenza in aula. È inutile
negarlo: sono esterrefatta! Rimango stralunata a guardarlo, in reverente
rispetto.
Mai avrei pensato che un’eventualità del genere potesse
capitare proprio a me, quasi a fine carriera per giunta!
Mi metto in ascolto, mentre Lui parla agli alunni. Avverto
che il suo dire ha presa sui ragazzi: lo ascoltano in silenzio; d'altra parte ogni sua parola
è lezione di vita!
Superato l’imbarazzo iniziale, mi alzo dalla cattedra e vado
a sedermi accanto a Lui, con fare dimesso, e partecipo alla conversazione: si
parla di umanità.
Lui si informa su cosa facciamo in classe per ricordarci che
siamo uomini prima ancora di essere studenti e docenti.
Ci mette in crisi con questo suo argomentare, ma ci
affascina: difatti, siamo tutti in silenzio, più tesi ad ascoltare che propensi
a parlare.
Intanto io prendo appunti.
Scrivo sul foglio bianco, a caratteri cubitali, la parola
più ridondante del suo discorso: “Avidità”.
Mi serve come parola chiave per ricordare il suo messaggio e non scrivo altro.
Poi, mi giro e Lo guardo ancora annichilita. Lui mi sorride
e fissa i suoi occhi nei miei. Che sguardo intenso ha!Trabocca di gioia e di amore. Faccio fatica a sostenerlo:
ha occhi luminosi e penetranti che
mettono soggezione, ma non intimoriscono. Mi
colpisce la sua serenità e mi accorgo pure che, intanto, anche il clima in
classe è diventato particolarmente serafico.
Lui è indubbiamente un grande maestro, avvolgente e coinvolgente.
Ci sorprende quando ci chiede il significato della parola “Tonello”.
Nessuno di noi sa cosa significhi: non l’abbiamo mai sentita, prima di adesso.
Lui sorride e ci dice che se lo aspettava perché non è
possibile sapere tutto: nella vita avremo sempre qualcos’altro da imparare.
-Non si può pretendere di sapere tutto, ci ripete. Non
aggiunge altro e lascia così inappagata la nostra curiosità, ormai innescata.
Sta con noi da circa un’ora, ma sembra che il tempo sia
volato. Mi chiede di riferire il suo messaggio anche ad altri colleghi. Poi, mi
dice che vorrebbe fare la stessa cosa in altre scuole, ma non gli è possibile. Ha
tempo solo per un altro incontro e mi chiede di organizzarglielo. Me lo chiede
due volte: vuole incontrarsi con tutte le insegnanti di sostegno, della mia
scuola e delle altre presenti sul territorio.
Gli prometto che mi attiverò per questo.
Ci saluta e va via sorridendo, avvolto nella sua tonaca bianca.
Sono compiaciuta per l’accaduto e, ancora sbigottita, strizzo
gli occhi e mi guardo intorno.
Che strano! Non sto a scuola e questa non è l'aula: è la mia stanza da
letto.
Mi riprendo dal disorientamento e capisco immediatamente: ho
sognato tutto!
E’ stato solo un sogno!
Non mi sono incontrata con papa Francesco, pur se ne avverto
ancora l’intensità dello sguardo.
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