Di don Antonino Minieri
Triduo
e Festa di san Martino 2012
Meditazioni
8
novembre
“Imparai con umiltà e fatica quello che dovevo fare …
… nulla può essere migliore di un giorno colmo di sogni e di tramonti
…”
Vorrei cominciare
questo breve ma spero intenso cammino insieme con un invito: mettiamoci tutti in un atteggiamento di
umiltà. Questo è il segreto di Martino, come di tutti i santi: vivere in un
costante , quotidiano atteggiamento di ascolto (ricordiamo il vangelo della
scorsa domenica: “Qual è il primo di tutti i comandamenti? … Il primo è: Ascolta, Israele! Il
Signore nostro Dio è l’unico Signore … [Mc 12, 28b-29]), perché solo con
l’ascolto si cresce, si migliora, si cambia, ci si converte. E’ un invito a
combattere la malattia del nostro tempo, quella dell’io “ingrassato” o
“ingrossato”. Quando non si ascolta, ci si organizza la vita “per fatti propri”,
“senza dare fastidio a nessuno”, quando si pensa solo ai propri interessi e si
coltivano solo i propri desideri senza tenere conto di quelli degli altri, il nostro io cresce a dismisura, ingrassa,
si ingrossa, e toglie aria e spazio vitale agli altri. Così si creano le
condizioni per lo scontro, per un terreno non fertile sul quale non potrà mai
crescere l’ulivo della pace. Così si sarà sempre “allergici” alla correzione,
sia che venga da parte di Dio che dai fratelli. Anzi, addirittura quando viene
da noi stessi, quando il cuore ci sbatte in faccia che bisogna cambiare rotta,
che la strada che percorriamo ci riveste soltanto di infelicità.
Ci vuole umiltà, coraggio di scendere dai nostri piedistalli per
ascoltare la vita, confrontarci con i suoi mille spunti, rispondere alla sua
quantità immensa di interrogativi. E ci vuole fatica, per rimanere fedeli a
questa scelta, renderla stabile nell’orizzonte della nostra storia. In questo
modo condurremo ogni nostro giorno al tramonto, a sera ci volteremo indietro e
quello che siamo stati sarà bello come la foto di uno stupendo
tramonto.
L’invito all’umiltà ci
viene anche dal Vangelo scelto per queste quattro tappe del triduo e della festa
di san Martino. Ecco la prima parte:
Quel giorno
Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla
che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla
spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: "Ecco, il
seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada;
vennero gli uccelli e la mangiarono (Matteo 13,
1-4)
Ci chiediamo subito:
cosa sono i semi che il seminatore sparge nella stagione della semina? Sono
tutte le cose buone, tutto ciò che può essere riconducibile a questa “dicitura”:
dono di Dio. Tutto quello che riceviamo gratuitamente: la vita, le meraviglie
della creazione, i gesti d’affetto inaspettati, soprattutto quelli non meritati.
Di fronte a questo “ben di Dio”
(l’espressione popolare fa propria al caso nostro!!) sarebbe un vero peccato non essere
umili, cioè chiusi perché pieni, troppo pieni di noi stessi. Sarebbe un
peccato essere come, forzando un po’ la mano rispetto al contesto vitale di
Gesù, una strada asfaltata, dove il seme caduto non potrebbe che marcire, tranne
che diventi pasto per gli uccelli. E’ il più grande peccato avere un cuore
chiuso, indurito, proprio come una strada asfaltata. E poi perché? Per non
soffrire? Perché non si crede più nella buona disposizione degli altri? Perché
ci si crede autosufficienti? Tutte queste ragioni, che sicuramente hanno un
grande peso nella nostra vita, non devono compromettere il fondamentale
atteggiamento di apertura del nostro cuore, che con fatica deve essere
custodito, perché solo così ogni nostro giorno sarà portato al suo tramonto più
bello.
Ci lasciamo con questo
primo passo, da non trascurare: recuperare, stabilizzare un fondamentale
atteggiamento di apertura, di ascolto. Anche perché insieme alle difficoltà
da affrontare, non mancheranno mai i doni di Dio da accogliere
…
9
novembre
“Imparai con umiltà e fatica quello che dovevo fare …
… nulla può essere migliore di un giorno colmo di sogni e di tramonti
…”
In questi giorni ci
siamo posti un traguardo ambizioso ma
irrinunciabile: condurre la nostra vita ad un “bel tramonto”, al suo “vero”
tramonto. Vogliamo tirare fuori tutta la bellezza di ogni nostro giorno,
affinché possa suscitare in noi e negli altri nuovi desideri di luce, nuovi
slanci di generosità. Riaccendere in noi la consapevolezza, come Martino, di
poter essere santi. Non si può
“tramontare”, ci ricordavamo ieri a vicenda, senza umiltà. L’umiltà non è il
disprezzo di sé, il non voler riconoscere le proprie doti, ma un costante
esercizio d’amore che ti porta a conquistare un “cuore semplice”, capace di
ascoltare tutti, perché tutti possono essere un aiuto fondamentale per crescere,
in tutti ci può essere il sapore dell’amore di Dio. Anche in un contesto
“polemico”, forse la parola dell’altro non mi farà cambiare idea, ma avere
l’umiltà di ascoltarla comunque mi sarà utile, se non altro per rendere ancora
più salda in me la mia convinzione.
Mettiamo in luce,
questa sera, un secondo importante suggerimento, che N. Sparks ci dona in questo
slogan, leitmotive del nostro triduo 2012: imparare quello che si deve fare anche
attraverso la fatica. Cosa succede quando non si fatica per ottenere quello
che è giusto o per custodire quello che abbiamo cercato e trovato? Il Vangelo di
Matteo risponde così:
Un'altra
parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito,
perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e,
non avendo
radici, seccò (Matteo 13, 5-6)
Una parte
del seme del Grande Seminatore, che è Dio, cade su un misto di terreno e sassi.
Il seme spunta, germoglia subito, in poco tempo tira fuori la sua carica vitale.
Però basta un po’ di sole di troppo che la piantina resti bruciata, concludendo
prima del tempo la sua avventura nel mondo. Cosa è successo? Uscendo dalla
metafora, è mancato l’impegno, la
fatica, la cura di un progetto. Un’altra malattia (ieri mettevamo a fuoco
quella dell’io ingrassato o ingrossato) che contagia uomini e donne del nostro
tempo, soprattutto i più giovani, è la dispersione, la discontinuità, un
continuo iniziare mille cose e il portarne a termine spesso nessuna. La nostra
memoria è probabilmente piena di percorsi iniziati e mai giunti alla linea
d’arrivo: diete, percorsi di studio, passatempi, cammino spirituale,
volontariato, amicizie, etc. E’ venuta a mancare la fatica della conferma, lo
sforzo di andare avanti anche quando non si ha voglia, anche quando sorge la
classica “giornata storta”. Ma senza fatica, senza cura amorevole delle proprie
iniziative di vita, bastano poche difficoltà, qualche contrarietà, un po’ di
snodi difficili che durante la vita sempre si attraversano e tutto crolla, come
una casa con un fondamento instabile sotto i colpi delle intemperie o di un
terremoto. Senza fatica restiamo prigionieri di sogni effimeri, gioie che hanno
la durata di un filo d’erba, certezze che si sciolgono come la cera di una
candela. La fatica permette ai semi, ai
doni con i quali Dio arricchisce la nostra vita, di germogliare e diventare
alberi secolari, che vivranno anche dopo di
noi.
Concludo questa sera
con un invito a guardare le proprie mani. Quante volte hanno preso qualcosa ma
lo hanno lasciato andare perché troppo deboli, non abituate alla fatica. Hanno
preso le redini della nostra vita ma hanno presto lasciato la presa, a causa di
tensioni troppo forti, scossoni dalla potenza esagerata. Sono mani deboli,
troppo deboli. Devono rafforzarsi e potranno farlo soltanto con una fatica
costante e quotidiana. Dovranno allenarsi ancora molto e così potranno modellare
i percorsi di verità a cui siamo chiamati. Mani che, accogliendo adesso
l’Eucarestia, avranno però una speranza concreta di diventare forti, soprattutto
per i tanti sacrifici che il vero amore chiede. Mani che si stringeranno nel
gesto della pace e suggelleranno un impegno: custodire e stimolare l’impegno e
la fatica di ogni fratello.
10
novembre
“Imparai con umiltà e fatica quello che dovevo fare …
… nulla può essere migliore di un giorno colmo di sogni e di tramonti
…”
Tramontare. Un verbo che in italiano,
di solito, ha come soggetto il giorno, non una persona o un gruppo di persone.
Ma la poesia e la fede ci autorizzano a dribblare questa regola, a prenderci
questa licenza e quindi utilizzare questo verbo e l’uomo come suo soggetto.
Tutti noi siamo chiamati a “tramontare”, a portare ogni nostro giorno al
migliore tramonto possibile. Stiamo cercando di imparare “l’arte del tramontare”
…
Tra le epidemie del
nostro tempo (abbiamo già visto “l’io ingrossato e ingrassato e “la sindrome
della dispersione”) c’è anche l’aver alzato bandiera bianca nella lotta per
cercare un orizzonte di SENSO comune tra tutte le cose, tutte le persone, tutte
le attività, tutti i saperi. Di fronte alle grandi domande della vita spesso non
cerchiamo nessuna risposta oppure risposte “strettamente personali”, che possono
essere “mie” ma non “di tutti”. Ci si è arresi di fronte alla ricerca di una
verità condivisa, capace di unire le nostre originalissime storie. Prigionieri
delle rispettive “verità parziali”, restiamo divisi, a volte anche incapaci di
dialogare. Non ne parliamo quando si tratta di mettere a fuoco valori comuni,
itinerari per l’umanità, sforzi globali per un
futuro migliore. Noi crediamo che
invece ci sia un senso universale, in cui ogni cosa, se pur diversa dalle
altre, ha il suo posto, per il bene di tutti. Crediamo che ci sia una via “popolare”, per
tutti, che conduce alla gioia, a quella condizione di pienezza che stiamo
definendo “tramonto”. Questa via, questo “senso per tutti”, secondo il quale
provare ad ordinare tutte le cose della nostra vita, ci viene svelato dal
Vangelo, dalla sua Parola.
Le scelte per portare ogni nostro giorno al
suo tramonto? Umiltà e fatica della quotidianità. Questi i primi due imput
che la “buona notizia” ha fatto riecheggiare nei nostri animi. Vediamo il terzo,
quello di questa sera. E’ sempre il vangelo a farci da apripista.
Un'altra
parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono (Matteo 13,
7)
Cosa sono i rovi, che, crescendo,
soffocano la pianta nel suo sviluppo? Quelle forze interiori, quelle “spinte” che
vengono dal profondo del nostro cuore e che ostacolano il crescere dei doni di
Dio in noi. Queste “resistenze interiori” all’amore di Dio in noi e alla sua
azione, Evagrio Pontico li chiama pensieri: “I pensieri più generali, nei quali è
compreso ogni pensiero, sono in tutto otto. Primo è quello della gola e, dopo di
lui, quello della fornicazione. Terzo, quello dell’avarizia; quarto, quello
della tristezza; quinto, quello dell’ira; sesto, quello dell’accidia; settimo,
quello della vanagloria; ottavo, quello della superbia”. Ecco questi “rovi”
chiamati con il loro nome. Per combatterli, per bloccare o almeno frenare la
loro spinta in noi, è fondamentale riconoscerli, chiamarli per nome, sapere come
si muovono, le loro “tattiche”, il modo con cui circuiscono la nostra vera
volontà. Perché il loro potere sta nel deformare, deviare, sfigurare la forze
d’amore presenti in noi.
Questi pensieri vanno fronteggiati e
combattuti senza pietà. Sono nemici da annientare, con i quali non bisogna
trattare in alcun modo. Questa battaglia è fondamentale per diventare guerrieri
della luce, cioè persone capace di risplendere dentro e portare luminosità
fuori, in tutto e in tutti. E’ urgente allora un compito: individuare i “miei
rovi”, quelli che più tolgono forza al mio desiderio di amare. E poi combatterli
senza dargli un attimo di respiro, senza permettergli di avanzare un sol passo.
La fatica di combattere i nostri nemici interiori. Oltre all’umiltà e alla
fatica della costanza, un altro importante tassello del mosaico del nostro
personale tramonto.
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novembre
“Imparai con umiltà e fatica quello che dovevo fare …
… nulla può essere migliore di un giorno colmo di sogni e di tramonti
…”
Ultimo pezzo di strada
di questa “corsa spirituale” che è stata una sorta di intreccio tra tre grandi
passioni della mia vita: il Vangelo, la
letteratura, la bellezza della natura. Questo provvidenziale intreccio ha
messo in luce una grande PASSIONE, che deve essere presente nell’animo di tutti:
portare ogni giorno al tramonto più
bello possibile, in modo che anche la foto dell’ultimo giorno della nostra
esistenza possa essere uno stupendo tramonto. La ricetta di vita per accendere
in noi questa passione prevede almeno tre ingredienti: umiltà, fatica della
costanza, fatica della lotta contro i “pensieri”, per usare l’espressione di
Evagrio, che cercano di frenare l’azione di Dio in noi. In questo modo diventerò
quella terra buona sulla quale i semi, i doni di Dio, non solo spunteranno e
cresceranno, ma porteranno anche frutto. Vediamo cosa ci dice il vangelo a
proposito:
Un'altra
parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta,
il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti" (Matteo 13,
8)
I tre imput dei giorni
scorsi ci aiuteranno a rendere terra buona, prima di tutto, il campo del mio cuore. In esso Dio, il
grande Seminatore, raccoglierà il trenta, il sessanta o il cento. In altre
parole, “imparerò a produrre” secondo le mie capacità, i miei talenti, la
vocazione a cui sono stato chiamato, la storia che Dio ha “prescritto” per me.
Per valutare il nostro “raccolto”, non bisogna solo misurare la quantità e
confrontarla con quella degli altri. Dio ci chiede cose diverse, anche misure
diverse. Importante è fare quello che è giusto per noi, dispiegare tutte le
forze positive della nostra esistenza. Bisogna sentirsi a posto con la coscienza
non se si è raccolto quanto o più degli altri, ma se si sono impiegate tutte, ma
proprio tutte le proprie energie.
Seguendo le tre
provocazioni offerte nei giorni scorsi, si raggiungerà anche un altro risultato,
si otterrà un miracolo: rendere terra
buona anche il cuore dell’altro, di chi incontriamo nel nostro viaggio.
Nulla può essere migliore di un giorno COLMO di sogni e di tramonti: colmo
perché pieno non soltanto del MIO sogno e del MIO tramonto, ma anche di quello
degli altri. Pienezza di vita non equivale soltanto a realizzazione personale,
costruzione del proprio sogno, taglio del traguardo della propria vita. Ma è
sinonimo anche di collaborazione alla realizzazione dei sogni degli altri,
servizio al “tramonto bello” del prossimo.
Questo è, in sintesi,
il cammino e il segreto della santità. Un cammino che parte da me … bisogna
essere rigidi con se stessi, duri, testardi nel percorrere certe strade che
fanno il nostro bene … per realizzare il sogno di un bellissimo tramonto per
ogni giorno … per aiutare anche gli altri a realizzare il proprio sogno e il
proprio tramonto. La santità è la ricerca dell’umiltà, la fatica di lavorare
ogni giorno per il proprio sogno, la fatica di togliere in noi ciò che toglie
forza al bene seminato in noi; per essere terra buona, scegliere con coraggio,
avere come ragione di vita il coltivare la terra degli altri e farla diventare
terra buona. Questa è la vita di Martino, questa può essere la nostra
vita!!
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