Sterminator Vesevo
Con un gruppo di amici
domenica 9 marzo 2008 siamo partiti per la conquista di una montagna. La
settimana trascorsa era stata inclemente pioggia e freddo, ma dallo studio delle
previsioni (forse perchè non volevamo darci per vinti) la domenica si
preannunciava buona ma fredda. Così un pò all'avventura e con un pizzico di
incoscienza ci siamo organizzati per la partenza da Sant'Agnello - Colli
di Fontanelle alle ore 6:30. Quello che ci aspettava non era una passeggiata ma un intensa scalata piena di pericoli ed insidie e forse per questo ci eravamo preparati con molta cura, zainetto, scarpe di ginnastica, tuta, cappello, giubbotto ed una dose di coraggio e molto allenamento.
Ad attenderci era lui il VESUVIO con i suoi 1279 metri di altezza
Ci siamo trovati ad Ottaviano con l'amico Antonio D'Avino ed il suo gruppo alle 8:00 per iniziare la salita.
Già dai primi passi ci siamo accorti dell'incommensurabile bellezza del posto, eravamo nel Parco Nazionale del Vesuvio.
Un primo passaggio nei boschi prima di Castagno poi di Pino e dopo circa 1 ora avevamo la vista del cono che per lo stupore di tutti si presentava pieno di neve.
(vista del cratere con le caratteristiche fumarole)
L'allusione era diretta all'inattività del Vulcano che sembra docile e tranquillo ma che invece con le sue fumarole ci aveva mostrato un realtà diversa, quella di una montagna viva.
A tutti gli amici che sono stati con noi lasciamo come riflessione alcuni versi del grande Leopardi e della sua "Ginestra"
Qui sull'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor nè fiore,
Tuoi crespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti.
(...)
Questi campi sparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiar di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dei potenti
Gradito ospizio; e fur città famose,
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve;
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola.
(...)
Come d'arbor cadendo un piccol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze ch'adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia diserta e copre
In un punto; così dall'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scaglia al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli,
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infuocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
e infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica (...)
(Foto by Tony Guarracino)
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