sabato 23 luglio 2016

Riflessioni evangeliche per la festa di S.Martino (8 novembre 2012)

Tratto da facebook
Di don Antonino Minieri
Triduo e Festa di san Martino 2012
Meditazioni
8 novembre

“Imparai con umiltà e fatica quello che dovevo fare …
… nulla può essere migliore di un giorno colmo di sogni e di tramonti …”
           
            Vorrei cominciare questo breve ma spero intenso cammino insieme con un invito: mettiamoci tutti in un atteggiamento di umiltà. Questo è il segreto di Martino, come di tutti i santi: vivere in un costante , quotidiano atteggiamento di ascolto (ricordiamo il vangelo della scorsa domenica: “Qual è il primo di tutti i comandamenti? … Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore … [Mc 12, 28b-29]), perché solo con l’ascolto si cresce, si migliora, si cambia, ci si converte. E’ un invito a combattere la malattia del nostro tempo, quella dell’io “ingrassato” o “ingrossato”. Quando non si ascolta, ci si organizza la vita “per fatti propri”, “senza dare fastidio a nessuno”, quando si pensa solo ai propri interessi e si coltivano solo i propri desideri senza tenere conto di quelli degli altri, il nostro io cresce a dismisura, ingrassa, si ingrossa, e toglie aria e spazio vitale agli altri. Così si creano le condizioni per lo scontro, per un terreno non fertile sul quale non potrà mai crescere l’ulivo della pace. Così si sarà sempre “allergici” alla correzione, sia che venga da parte di Dio che dai fratelli. Anzi, addirittura quando viene da noi stessi, quando il cuore ci sbatte in faccia che bisogna cambiare rotta, che la strada che percorriamo ci riveste soltanto di infelicità.
Ci vuole umiltà, coraggio di scendere dai nostri piedistalli per ascoltare la vita, confrontarci con i suoi mille spunti, rispondere alla sua quantità immensa di interrogativi. E ci vuole fatica, per rimanere fedeli a questa scelta, renderla stabile nell’orizzonte della nostra storia. In questo modo condurremo ogni nostro giorno al tramonto, a sera ci volteremo indietro e quello che siamo stati sarà bello come la foto di uno stupendo tramonto.
            L’invito all’umiltà ci viene anche dal Vangelo scelto per queste quattro tappe del triduo e della festa di san Martino. Ecco la prima parte:
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: "Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono (Matteo 13, 1-4)
            Ci chiediamo subito: cosa sono i semi che il seminatore sparge nella stagione della semina? Sono tutte le cose buone, tutto ciò che può essere riconducibile a questa “dicitura”: dono di Dio. Tutto quello che riceviamo gratuitamente: la vita, le meraviglie della creazione, i gesti d’affetto inaspettati, soprattutto quelli non meritati. Di fronte a questo “ben di Dio” (l’espressione popolare fa propria al caso nostro!!) sarebbe un vero peccato non essere umili, cioè chiusi perché pieni, troppo pieni di noi stessi. Sarebbe un peccato essere come, forzando un po’ la mano rispetto al contesto vitale di Gesù, una strada asfaltata, dove il seme caduto non potrebbe che marcire, tranne che diventi pasto per gli uccelli. E’ il più grande peccato avere un cuore chiuso, indurito, proprio come una strada asfaltata. E poi perché? Per non soffrire? Perché non si crede più nella buona disposizione degli altri? Perché ci si crede autosufficienti? Tutte queste ragioni, che sicuramente hanno un grande peso nella nostra vita, non devono compromettere il fondamentale atteggiamento di apertura del nostro cuore, che con fatica deve essere custodito, perché solo così ogni nostro giorno sarà portato al suo tramonto più bello.
            Ci lasciamo con questo primo passo, da non trascurare: recuperare, stabilizzare un fondamentale atteggiamento di apertura, di ascolto. Anche perché insieme alle difficoltà da affrontare, non mancheranno mai i doni di Dio da accogliere …

9 novembre

“Imparai con umiltà e fatica quello che dovevo fare …
… nulla può essere migliore di un giorno colmo di sogni e di tramonti …”
           
            In questi giorni ci siamo posti un traguardo ambizioso ma irrinunciabile: condurre la nostra vita ad un “bel tramonto”, al suo “vero” tramonto. Vogliamo tirare fuori tutta la bellezza di ogni nostro giorno, affinché possa suscitare in noi e negli altri nuovi desideri di luce, nuovi slanci di generosità. Riaccendere in noi la consapevolezza, come Martino, di poter essere santi. Non si può “tramontare”, ci ricordavamo ieri a vicenda, senza umiltà. L’umiltà non è il disprezzo di sé, il non voler riconoscere le proprie doti, ma un costante esercizio d’amore che ti porta a conquistare un “cuore semplice”, capace di ascoltare tutti, perché tutti possono essere un aiuto fondamentale per crescere, in tutti ci può essere il sapore dell’amore di Dio. Anche in un contesto “polemico”, forse la parola dell’altro non mi farà cambiare idea, ma avere l’umiltà di ascoltarla comunque mi sarà utile, se non altro per rendere ancora più salda in me la mia convinzione.
            Mettiamo in luce, questa sera, un secondo importante suggerimento, che N. Sparks ci dona in questo slogan, leitmotive del nostro triduo 2012: imparare quello che si deve fare anche attraverso la fatica. Cosa succede quando non si fatica per ottenere quello che è giusto o per custodire quello che abbiamo cercato e trovato? Il Vangelo di Matteo risponde così:
Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e,
non avendo radici, seccò (Matteo 13, 5-6)
            Una parte del seme del Grande Seminatore, che è Dio, cade su un misto di terreno e sassi. Il seme spunta, germoglia subito, in poco tempo tira fuori la sua carica vitale. Però basta un po’ di sole di troppo che la piantina resti bruciata, concludendo prima del tempo la sua avventura nel mondo. Cosa è successo? Uscendo dalla metafora, è mancato l’impegno, la fatica, la cura di un progetto. Un’altra malattia (ieri mettevamo a fuoco quella dell’io ingrassato o ingrossato) che contagia uomini e donne del nostro tempo, soprattutto i più giovani, è la dispersione, la discontinuità, un continuo iniziare mille cose e il portarne a termine spesso nessuna. La nostra memoria è probabilmente piena di percorsi iniziati e mai giunti alla linea d’arrivo: diete, percorsi di studio, passatempi, cammino spirituale, volontariato, amicizie, etc. E’ venuta a mancare la fatica della conferma, lo sforzo di andare avanti anche quando non si ha voglia, anche quando sorge la classica “giornata storta”. Ma senza fatica, senza cura amorevole delle proprie iniziative di vita, bastano poche difficoltà, qualche contrarietà, un po’ di snodi difficili che durante la vita sempre si attraversano e tutto crolla, come una casa con un fondamento instabile sotto i colpi delle intemperie o di un terremoto. Senza fatica restiamo prigionieri di sogni effimeri, gioie che hanno la durata di un filo d’erba, certezze che si sciolgono come la cera di una candela. La fatica permette ai semi, ai doni con i quali Dio arricchisce la nostra vita, di germogliare e diventare alberi secolari, che vivranno anche dopo di noi.
            Concludo questa sera con un invito a guardare le proprie mani. Quante volte hanno preso qualcosa ma lo hanno lasciato andare perché troppo deboli, non abituate alla fatica. Hanno preso le redini della nostra vita ma hanno presto lasciato la presa, a causa di tensioni troppo forti, scossoni dalla potenza esagerata. Sono mani deboli, troppo deboli. Devono rafforzarsi e potranno farlo soltanto con una fatica costante e quotidiana. Dovranno allenarsi ancora molto e così potranno modellare i percorsi di verità a cui siamo chiamati. Mani che, accogliendo adesso l’Eucarestia, avranno però una speranza concreta di diventare forti, soprattutto per i tanti sacrifici che il vero amore chiede. Mani che si stringeranno nel gesto della pace e suggelleranno un impegno: custodire e stimolare l’impegno e la fatica di ogni fratello.

10 novembre

“Imparai con umiltà e fatica quello che dovevo fare …
… nulla può essere migliore di un giorno colmo di sogni e di tramonti …”
           
            Tramontare. Un verbo che in italiano, di solito, ha come soggetto il giorno, non una persona o un gruppo di persone. Ma la poesia e la fede ci autorizzano a dribblare questa regola, a prenderci questa licenza e quindi utilizzare questo verbo e l’uomo come suo soggetto. Tutti noi siamo chiamati a “tramontare”, a portare ogni nostro giorno al migliore tramonto possibile. Stiamo cercando di imparare “l’arte del tramontare” …
            Tra le epidemie del nostro tempo (abbiamo già visto “l’io ingrossato e ingrassato e “la sindrome della dispersione”) c’è anche l’aver alzato bandiera bianca nella lotta per cercare un orizzonte di SENSO comune tra tutte le cose, tutte le persone, tutte le attività, tutti i saperi. Di fronte alle grandi domande della vita spesso non cerchiamo nessuna risposta oppure risposte “strettamente personali”, che possono essere “mie” ma non “di tutti”. Ci si è arresi di fronte alla ricerca di una verità condivisa, capace di unire le nostre originalissime storie. Prigionieri delle rispettive “verità parziali”, restiamo divisi, a volte anche incapaci di dialogare. Non ne parliamo quando si tratta di mettere a fuoco valori comuni, itinerari per l’umanità, sforzi globali per un  futuro migliore. Noi crediamo che invece ci sia un senso universale, in cui ogni cosa, se pur diversa dalle altre, ha il suo posto, per il bene di tutti. Crediamo che ci sia una via “popolare”, per tutti, che conduce alla gioia, a quella condizione di pienezza che stiamo definendo “tramonto”. Questa via, questo “senso per tutti”, secondo il quale provare ad ordinare tutte le cose della nostra vita, ci viene svelato dal Vangelo, dalla sua Parola.
            Le scelte per portare ogni nostro giorno al suo tramonto? Umiltà e fatica della quotidianità. Questi i primi due imput che la “buona notizia” ha fatto riecheggiare nei nostri animi. Vediamo il terzo, quello di questa sera. E’ sempre il vangelo a farci da apripista.
Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono (Matteo 13, 7)
            Cosa sono i rovi, che, crescendo, soffocano la pianta nel suo sviluppo? Quelle forze interiori, quelle “spinte” che vengono dal profondo del nostro cuore e che ostacolano il crescere dei doni di Dio in noi. Queste “resistenze interiori” all’amore di Dio in noi e alla sua azione, Evagrio Pontico li chiama pensieri: “I pensieri più generali, nei quali è compreso ogni pensiero, sono in tutto otto. Primo è quello della gola e, dopo di lui, quello della fornicazione. Terzo, quello dell’avarizia; quarto, quello della tristezza; quinto, quello dell’ira; sesto, quello dell’accidia; settimo, quello della vanagloria; ottavo, quello della superbia”. Ecco questi “rovi” chiamati con il loro nome. Per combatterli, per bloccare o almeno frenare la loro spinta in noi, è fondamentale riconoscerli, chiamarli per nome, sapere come si muovono, le loro “tattiche”, il modo con cui circuiscono la nostra vera volontà. Perché il loro potere sta nel deformare, deviare, sfigurare la forze d’amore presenti in noi.
            Questi pensieri vanno fronteggiati e combattuti senza pietà. Sono nemici da annientare, con i quali non bisogna trattare in alcun modo. Questa battaglia è fondamentale per diventare guerrieri della luce, cioè persone capace di risplendere dentro e portare luminosità fuori, in tutto e in tutti. E’ urgente allora un compito: individuare i “miei rovi”, quelli che più tolgono forza al mio desiderio di amare. E poi combatterli senza dargli un attimo di respiro, senza permettergli di avanzare un sol passo. La fatica di combattere i nostri nemici interiori. Oltre all’umiltà e alla fatica della costanza, un altro importante tassello del mosaico del nostro personale tramonto.

11 novembre

“Imparai con umiltà e fatica quello che dovevo fare …
… nulla può essere migliore di un giorno colmo di sogni e di tramonti …”
           
            Ultimo pezzo di strada di questa “corsa spirituale” che è stata una sorta di intreccio tra tre grandi passioni della mia vita: il Vangelo, la letteratura, la bellezza della natura. Questo provvidenziale intreccio ha messo in luce una grande PASSIONE, che deve essere presente nell’animo di tutti: portare ogni giorno al tramonto più bello possibile, in modo che anche la foto dell’ultimo giorno della nostra esistenza possa essere uno stupendo tramonto. La ricetta di vita per accendere in noi questa passione prevede almeno tre ingredienti: umiltà, fatica della costanza, fatica della lotta contro i “pensieri”, per usare l’espressione di Evagrio, che cercano di frenare l’azione di Dio in noi. In questo modo diventerò quella terra buona sulla quale i semi, i doni di Dio, non solo spunteranno e cresceranno, ma porteranno anche frutto. Vediamo cosa ci dice il vangelo a proposito:
Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta,  il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti" (Matteo 13, 8)
            I tre imput dei giorni scorsi ci aiuteranno a rendere terra buona, prima di tutto, il campo del mio cuore. In esso Dio, il grande Seminatore, raccoglierà il trenta, il sessanta o il cento. In altre parole, “imparerò a produrre” secondo le mie capacità, i miei talenti, la vocazione a cui sono stato chiamato, la storia che Dio ha “prescritto” per me. Per valutare il nostro “raccolto”, non bisogna solo misurare la quantità e confrontarla con quella degli altri. Dio ci chiede cose diverse, anche misure diverse. Importante è fare quello che è giusto per noi, dispiegare tutte le forze positive della nostra esistenza. Bisogna sentirsi a posto con la coscienza non se si è raccolto quanto o più degli altri, ma se si sono impiegate tutte, ma proprio tutte le proprie energie.
            Seguendo le tre provocazioni offerte nei giorni scorsi, si raggiungerà anche un altro risultato, si otterrà un miracolo: rendere terra buona anche il cuore dell’altro, di chi incontriamo nel nostro viaggio. Nulla può essere migliore di un giorno COLMO di sogni e di tramonti: colmo perché pieno non soltanto del MIO sogno e del MIO tramonto, ma anche di quello degli altri. Pienezza di vita non equivale soltanto a realizzazione personale, costruzione del proprio sogno, taglio del traguardo della propria vita. Ma è sinonimo anche di collaborazione alla realizzazione dei sogni degli altri, servizio al “tramonto bello” del prossimo.
            Questo è, in sintesi, il cammino e il segreto della santità. Un cammino che parte da me … bisogna essere rigidi con se stessi, duri, testardi nel percorrere certe strade che fanno il nostro bene … per realizzare il sogno di un bellissimo tramonto per ogni giorno … per aiutare anche gli altri a realizzare il proprio sogno e il proprio tramonto. La santità è la ricerca dell’umiltà, la fatica di lavorare ogni giorno per il proprio sogno, la fatica di togliere in noi ciò che toglie forza al bene seminato in noi; per essere terra buona, scegliere con coraggio, avere come ragione di vita il coltivare la terra degli altri e farla diventare terra buona. Questa è la vita di Martino, questa può essere la nostra vita!!


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